Haiku 俳句 Poesia e Natura
Generalmente è composto da tre versi per complessive diciassette more (e non sillabe, come comunemente detto, secondo lo schema 5/7/5.
Inizialmente indicato con il termine hokku 発句 lett. “strofa d’esordio”, deve il suo nome attuale allo scrittore giapponese Masaoka Shiki (1867-1902), il quale coniò il termine verso la fine del XIX secolo, quale forma contratta dell’espressione haikai no ku 俳諧の句, letteralmente “verso di un poema a carattere scherzoso”. Il genere haiku, nonostante già noto e diffuso in Giappone, conobbe un fondamentale sviluppo tematico e formale nel periodo Edo (1603-1868), quando numerosi poeti tra cui Matsuo Bashō, Kobayashi Issa, Yosa Buson e, successivamente, lo stesso Masaoka Shiki utilizzarono prevalentemente questo genere letterario per descrivere la natura e gli accadimenti umani direttamente collegati ad essa. Lo haiku deve molto della propria efficacia espressiva alla presentazione di immagini fulminee, di improvvise percezioni e sensazioni, di spunti descrittivi penetranti e veraci.
Sotto, riportiamo alcuni componimenti del più famoso di tutti…
Bashō Matsuo
(1644-1694)
Da secoli Bashō è il poeta più amato dai giapponesi e non solo. In tutte le sue opere si avverte la cultura tradizionale (Shintoista, buddhista, confuciana, taoista e Zen), ma soprattutto perché fece coincidere come nessun altro la poesia con l’itinerario quotidiano della sua esistenza. Nelle sue composizioni si vedono esprimere tutti gli elementi della natura: l’acqua, i fiori, le rocce, gli animali, le piante, il mare, il vento, ecc. Tutto ciò che esprime rappresentano i Kami (divinità o spirito soprannaturale). Basho è stato un poeta giapponese del periodo Edo. Egli fu il massimo maestro giapponese della poesia haiku. Nato nella classe militare ed in seguito ordinato monaco in un monastero zen, divenne poeta famoso con una propria scuola. Descrive spesso nella sua opera l’esperienza del viaggio.
Riportiamo alcuni dei suoi Haiku
Vieni, andiamo,
guardiamo la neve
fino a restarne sepolti.
Languore d’inverno:
nel mondo di un solo colore
il suono del vento.
Lo specchio è chiaro
e terso
tra i fiori di neve.
Fine d’anno
tutti gli angoli
di questo mondo galleggiante, spazzati via.
Pioggia di primo inverno:
sarò forse chiamato anch’io
viaggiatore.
Su un ramo spoglio
si posa un corvo
nel crepuscolo d’autunno.
È sera ormai.
Tra i fiori si spengono
rintocchi di campana.
Foglie cadute
sul giardino che sembra vecchio
cent’anni.
La notte di primavera è finita.
Sui ciliegi
sorge l’alba.
Nello stagno antico
si tuffa una rana:
eco dell’acqua.
Verrà quest’anno la neve
che insieme a te
contemplai?
L’erba estiva!
È tutto ciò che rimane
del canto dei guerrieri
Passero amico
non beccare il tafano
che succhia i fiori.
O cuculo!
Guida il mio cavallo
attraverso i campi.
A un peperone
aggiungete le ali:
una libellula rossa.
L’allodola
canta per tutto il giorno,
ed il giorno non è lungo abbastanza.
Nobiltà di colui
che non deduce dai lampi
la vanità delle cose.
Brughiera:
dirigo il mio cavallo
dove cantano gli uccelli.
Scendono le ali delle farfalle,
che si spingono
fino ai crisantesimi selvatici.
Silenzio.
Graffia la pietra
un canto di cicale.
Della frescura
faccio la mia casa,
e qui riposo.
Tutta la voce
consumata nello strillare:
resta il guscio della cicala.
Il mare si oscura.
Il grido delle oche selvatiche
qualcosa di bianco.
Il verme del ravizzone
tremola al vento d’autunno
senza mutarsi in farfalla.
Sul passo montano
stanco riposo
al canto dell’allodola.
Chiare cascate:
tra le onde si infilano verdi
gli aghi dei pini.
Un banano nel temporale;
il gocciolio dell’acqua nel catino
scandisce la mia notte.
Le nubi di tanto in tanto
ci danno riposo
mentre guardiamo la luna.
Pioggia di primavera:
gocciola dal vespaio
l’acqua della gronda.
Ancora vivo,
e il viaggio è finito!
Sera d’autunno.
Dormire profondo
sul dorso della pietra
dove sbocciano i garofani!
Sul sentiero di montagna
scorgo un non so che di grazioso,
un fior di violetta.
Lacrime di venerazione
tingono le foglie
rosse che cadono.
Un cuculo.
La grande notte di luna
penetra il bosco di bambù.
Affaticato,
mentre cerco albergo,
mi scopro sotto i fiori di glicine.
Il profumo dell’orchidea
penetra come incenso
le ali di una farfalla.
La primavera se ne va.
Piangono gli uccelli,
sono lacrime gli occhi dei pesci.
Quali dita toccheranno
in futuro
quei fiori rossi?
Maestà della quercia
noncurante
dei fiori!
Autunno:
persino gli uccelli
e le nuvole sembrano vecchi.
Inizio d’autunno:
nel mare e nei campi
un verde solo.
Steli di iris
si aggrovigliano ai miei piedi
come lacci di sandali
Profumo di fiori di pruno:
sorge improvviso il sole
sul sentiero di montagna.
Non un grano di polvere
a turbare il chiarore
del crisantemo bianco.
Rifugio di fiori.
La lucciola degli alberi
ne farà la sua luce?